La redazione di Abili a proteggere ha intervistato Antonio Giuseppe Malafarina, giornalista del blog InVisibili del Corriere della Sera, collaboratore di Periodici San Paolo, esperto di disabilità, autore di "Poesia" e presidente onorario della fondazione Mantovani Castorina. Di seguito l'intervista ad Antonio Giuseppe Malafarina, disponibile in formato integrale e sottotitolata sul nostro canale YouTube Abili a proteggere.
La tecnologia supporta sicuramente le persone con disabilità. Io vivo e lavoro grazie alla tecnologia perché respiro grazie ad un respiratore meccanico. Sono stato fra i primi in Italia a respirare con uno stimolatore diaframmatico nel 1989 e ad utilizzare i sistemi di riconoscimento vocale nel 1992 per usare il computer. Ho, quindi, una discreta esperienza e mi piace confrontarmi con chi vive la tecnologia come me.
La tecnologia deve però essere accessibile e fruibile da tutti. Per esempio, in questo anno abbiamo visto che molte persone sono rimaste escluse dalla didattica a distanza, perché non c'era la tecnologia: sono mancati gli ausili, la banda larga, l'accessibilità degli strumenti e software, e poi ci vuole un'educazione delle persone ad utilizzare la tecnologia. Quindi la tecnologia aiuta le persone con disabilità, ma non le aiuta a pieno. Deve essere resa veramente accessibile a tutti, anche dal punto di vista economico, garantendo un profitto a chi la produce altrimenti non funziona.
C'è stata una presa di coscienza da parte dei media, infatti non sento più parlare di handicap né di diversamente abile. Oggi c'è più attenzione al linguaggio, ma ancora deve essere fatto molto. Il linguaggio non è fatto solo di parole, ma di toni e di atteggiamenti, quindi si può utilizzare il linguaggio corretto, ma se l'atteggiamento è sbagliato si crea un danno. Perché diversamente abile non si dice? Quando il termine è arrivato in Italia dall'America, dove hanno utilizzato inizialmente questo neologismo, era già superato. L'abilismo è l'emarginazione delle persone con disabilità, quindi i media hanno fatto uno sforzo per migliorare il rapporto con linguaggio, ma devono ancora migliorarsi perché per ora in televisione sono invitate persone con disabilità nel ruolo di eroi oppure presentate come persone compassionevoli e non va bene. Devono andare in televisione perché c'è un motivo, non possono andare solo gli eroi o le persone che fanno piangere, ma anche i professionisti.
Secondo l'OMS, che nel 2001 ha varato l'ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, un documento importantissimo, la disabilità sta nel rapporto fra una persona con le sue condizioni di salute e l'ambiente. Questa impronta, presa dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, mette in rapporto l'individuo con le sue condizioni di salute e l'ambiente. L'ambiente di che cosa è fatto? L'ambiente siamo noi allora se la disabilità sta nel rapporto tra la persona con le sue condizioni di salute e l'ambiente e si genera quando il rapporto è sfavorevole è naturale che tutti siamo coinvolti nel processo di disabilità. Quando parliamo di disabilità chiamiamo in causa due persone: io che sono una persona con disabilità e tu che mi sei di fronte che rendi più o meno vivibile il mondo per me, per questo la disabilità è una questione collettiva. È evidente che nessuno può cambiare la mia condizione di salute, nessuno può eliminare la mia tetraplegia, ma se io sono tetraplegico in un ambiente accogliente con la giusta tecnologia, assistenza economica, possibilità di lavorare, non voglio assistenza, voglio semplicemente essere trattato come gli altri, con il giusto contesto favorevole, ecco che la mia disabilità, la mia condizione di salute, pur rimanendo la stessa, viene accolta diversamente nella società e la disabilità si riduce. Quindi qual è il senso del rapporto fra disabilità e comunità? La comunità accoglie le persone con disabilità rendendole più o meno disabili. Nella vita tutti prima o poi ci confrontiamo con la disabilità, perché ci sono anche le disabilità temporanee, abbiamo visto cosa succede con il Covid, oppure noi incontriamo la disabilità negli altri, nel mondo del lavoro, uscendo, ecco perché la disabilità è un fatto sociale.
Non ho mai vissuto un'emergenza. Anni fa c'è stato uno sgombero nella mia zona per il ritrovamento di un reperto bellico, operazione gestita meravigliosamente. Se devo essere sincero cerco di non pensare all'emergenza perché se penso all'emergenza mi terrorizzo, perché assistermi non è semplice. Il soccorritore deve essere preparato e deve avere la capacità di fidarsi di me e delle persone che mi stanno accanto e questo non è scontato, perché gli accompagnatori e le persone non vengono prese in considerazione anche perché si considera che siano prese dal panico. Io penso che il soccorritore debba avere la capacità, richiesta anche al personale sanitario, di ascoltare l'assistito e la sua famiglia e di fidarsi. Per esempio, se ti trovi di fronte ad una persona come me, che respira col respiratore meccanico, non sai come muoverla, per questo è fondamentale l'ascolto. Inoltre, è necessario che le istituzioni si facciano carico della salvaguardia delle persone con specifiche necessità.
Innanzitutto la preparazione: conoscere le varie tipologie di disabilità è indispensabile, se non conosci le problematiche di una persona cieca o autistica è difficile fare un buon intervento. Oltre a questo, c'è bisogno di mantenere un atteggiamento accogliente e di ascolto della persona con disabilità, di attrezzature preposte al soccorso in sicurezza, di strumentazioni per l'assistenza delle persone con esigenze particolari - per esempio, io abito al sesto piano di una casa, in casi di incendio, non posso prendere l'ascensore, diventa un problema farmi uscire di casa, quindi dovrebbe essere pronta un'autoscala sulla quale io possa accedere allettato. Anche se il mio è un esempio limite, bisogna considerare il più possibile le varie esigenze, ascoltare, informarsi e dialogare.
Vorrei a stretto giro che ci fossero delle politiche serie per consentire alle persone con disabilità e ai loro familiari di esercitare la loro autodeterminazione, di essere autonome. Abbiamo bisogno non tanto di soldi, ma di un lavoro, abbiamo bisogno di infermieri che vengano a casa per assistere le persone che ne necessitano, vogliamo poter fare turismo. Non chiediamo assistenzialismo, ma investimenti che possano permettere a noi e alla società di stare meglio. Per esempio, se vengo messo in condizione di poter andare in Sardegna per turismo, ne guadagniamo io e gli albergatori perché di Antonio ce ne sono molti. Sarei felice se i soldi del recovery fund venissero utilizzati per migliorare le strutture ospedaliere, per accogliere le persone con disabilità, per migliorare la disponibilità di posti di lavoro per persone con disabilità. Quindi io vorrei vedere dei buoni investimenti nel campo della disabilità a favore di tutti.
Niente di Speciale è la sezione del sito dedicato alle interviste della redazione Abili a proteggere, perché non esistono bisogni speciali ma specifiche necessità.
Ringraziamo Antonio Giuseppe Malafarina per il tempo e l'estrema disponibilità e collaborazione dimostrate.
Link utili: InVisibili - Corriere