Agnese Rossi è anche la mamma di Davide, ragazzo con disturbi dello spettro autistico, che partecipa da anni al campo scuola del Divino Amore e che è diventato volontario dell'associazione di protezione civile. L'abbiamo intervistata a Roma il 20 dicembre e qui di seguito pubblichiamo alcuni estratti dell'intervista.
Come nasce il tuo interesse per la protezione civile?
Il mio interesse nasce 14 anni fa come volontaria di protezione civile, perché mi dava l'idea che si potesse entrare in contatto subito con le persone e i bisogni delle persone, quindi è una cosa che mi ha affascinata e mi sono sperimentata su questo tipo di volontariato.
Durante la tua lunga esperienza nei campi scuola hai notato da parte dei volontari un approccio spontaneo e naturale o hanno mostrato paura e resistenza?
La paura sicuramente. Mi è capitato durante un'esercitazione con i volontari e con dei ragazzi autistici di riscontrare resistenza. Mi ricordo che una volontaria, che si era per la prima volta messa alla prova con questo tipo di disabilità, dichiarò di avere paura, mi disse che era molto spaventata, perché si ha paura della diversità, però ci voleva provare. Nell'esercitazione non era previsto alcun intervento di protezione civile, ma attraverso il gioco bisognava stabilire un contatto. Sottolineammo l'importanza di essere autentici, dichiarando anche di avere paura, perché un disabile cognitivo avverte le sensazioni a pelle. Poi la volontaria ha capito l'importanza di entrare in relazione, lasciandosi anche un po' guidare e trasportare.
Tu oltre ad essere una volontaria di protezione civile sei anche mamma di un ragazzo con disabilità cognitiva, reputi che sia opportuno il coinvolgimento delle persone con disabilità nelle attività di protezione civile?
Assolutamente sì. Lo dico perché l'ho provato proprio con l'esperienza di mio figlio Davide, che fa parte di un gruppo di protezione civile un po' particolare nel senso che è molto accogliente e già il fatto di aver provato un'esperienza nel mondo del volontariato di protezione civile lo mette di fronte all'aver conosciuto che esiste una realtà di questo tipo. I disabili cognitivi hanno bisogno di una quotidianità, in emergenza perdono i riferimenti, perdono la casa, quindi sapere che comunque ci sono delle persone che sono deputate ad aiutarti e ad avere fiducia è fondamentale. In quel contesto ho visto Davide crescere molto, avere una consapevolezza di cosa è la protezione civile, che esistono delle emergenze, come ci si comporta in emergenza e sapere che un domani si potrebbe trovare di fronte a persone che sono lì per lui lo ha reso più consapevole. Ho pensato anche spesso come questi ragazzi disabili possono essere anche eventualmente impiegati in un campo di accoglienza, in un campo allestito per i terremotati perché hanno comunque una forte sensibilità nel riconoscere il diverso. Davide è diventato così consapevole dei rischi che durante la campagna Io non rischio ha fatto proprio lui una spiegazione alla popolazione ed è rimasto molto contento, si è sentito molto partecipe e anche la popolazione ha capito che questi ragazzi possono assolutamente essere utili e parte attiva di protezione civile.
Cosa si potrebbe fare per avvicinare il mondo del volontariato al tema della disabilità?
Al di là del soccorso tecnico che è deputato e lasciato ai tecnici, si può fare palestra, fare delle esperienze con le persone disabili perché noi portiamo noi stessi di fronte a questo tipo di problema. Quindi fare dei laboratori, degli incontri per vedere come noi ci sentiamo, come un volontario di protezione civile si sente nei confronti di questo tipo di disabilità, soprattutto cognitiva, che non è facilmente riconoscibile.
Di cosa avrebbero bisogno i volontari per essere preparati a gestire la comunicazione in emergenza in presenza di persone con disabilità?
Sapere che ci sono varie disabilità, sapere che ci si può trovare di fronte a persone che non sanno neanche spiegare di cosa hanno bisogno, come ad esempio i disabili autistici non verbali, fare delle esperienze con loro per far cadere la barriera della paura ed entrare in contatto, attraverso altri canali comunicativi e relazionali.
Davide ha mai vissuto in prima persona una vera emergenza?
Una sua emergenza personale l'ha vissuta quando si è perso a Roma, durante un suo lavoro sull'autonomia si è perso alla stazione Termini e doveva chiedere aiuto e in quel momento io non ero vicina a lui, ero in contatto via telefono e la prima cosa che ho fatto è stata di dirgli di rivolgersi ad una persona con una divisa perché così avrebbe avuto la sensazione di stare più al sicuro.
Un'altra è stata quando abbiamo sentito il terremoto a Roma, il terremoto di Amatrice. Si è spaventato però gli sono rivenute in mente tutte le cose che aveva imparato, non le ha messe in pratica perché non ce n'è stato bisogno, però si è ricordato, con la sua ansia, dei comportamenti che avrebbe dovuto attuare. Ha fatto anche un'esperienza a Roma in un servizio ordinario di protezione civile ovviamente protetto e tutelato, perché ci sono cose che non può fare. Lui si sente un volontario di protezione civile.
L'intervista è disponibile nella versione integrale e sottotitolata sul nostro canale youtube Abili a proteggere.
Grazie ad Agnese Rossi per la disponibilità a raccontare e raccontarsi e per la gentilezza e collaborazione dimostrata.
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