La redazione di Abili a proteggere ha intervistato il 25 giugno Antonio Ciotola, chef con disabilità visiva. “Una bottiglia stappata, il rintocco della mezzanotte, luci nel cielo, un boato e poi… il buio. Così è iniziato tutto, un fuoco nel cielo che ha spento la mia vista, ma ha acceso molto altro nella mia Vita”, racconta nel suo libro “Il buio in padella”, Booksprint Edizioni. La perdita della vista nel 2005 non ha fermato lo chef che ha riaperto dopo sei mesi dall'incidente il suo ristorante in provincia di Ancona. É Presidente Onorario del DSE, il Dipartimento Solidarietà Emergenze, fondato nel 2016 dalla Federazione Italiana Cuochi, l’Unione Regionale Cuochi Lazio e l’Associazione di Volontariato R2 Executive Team, nell'ambito del quale si occupa della Formazione per le Cucine in Emergenza. Particolare attenzione è data dal DSE alla cultura della Protezione Civile e come la stessa si applica nella Ristorazione in caso di calamità. Il Dipartimento Solidarietà Emergenze FIC ha attualmente 17 Associazioni Regionali e una OdV territoriale. L'intervista ad Antonio Ciotola, integrale e sottotitolata, è disponibile sul canale Youtube di Abili a proteggere.
Ci racconta l'esperienza di formatore di volontari per le cucine da campo?
Questa è una bellissima domanda. Amo molto insegnare e trasmettere emozioni e passione, perché durante i corsi di formazione, insieme agli altri relatori, trasmettiamo con il cuore le nostre esperienze, come aver dormito nei container sotto zero, con il freddo che non ti dava neanche la possibilità di poter pensare a cosa fare, o in condizioni dure. Durante la formazione, sottolineiamo come in emergenza sia importante avere con sé tutto il necessario, per non affaticare il lavoro degli altri, come conciliare l'attività in emergenza con il lavoro che ognuno fa nell'ordinario, come dare la priorità a chi ha particolari necessità alimentari, come vivere con serietà e professionalità l'impegno preso. Di solito partono le persone più pratiche, quelle che hanno lavorato nelle mense o con i catering, perché nei campi di emergenza si preparano dai 600 ai 1.800 pasti tra pranzo e cena, quindi si cercano cuochi abituati a reggere questi ritmi, e proprio questi sono i primi a partire. La fase iniziale dell'emergenza è sempre la più delicata e problematica, quando, non sapendo ancora dove mettere le mani, bisogna iniziare a cucinare; quando, invece, il lavoro del campo si è stabilizzato è più semplice. Durante i corsi spieghiamo, inoltre, le emozioni che si vivono e che si portano a casa per aver vissuto quell'esperienza insieme ai colleghi, si dorme pochissimo, si sta insieme, si dà una mano: è quello il bello perché quando ci si arricchisce interiormente allora si è ricchi per tutta la vita. Dare una mano a persone che ne hanno bisogno ti gratifica nel tempo e sono indelebili queste emozioni, che possiamo spiegare solamente raccontando le situazioni vissute, perciò facciamo formazione sia a livello pratico sia a livello umano, perché trasferiamo le nostre esperienze a persone che non sanno quello che si troveranno ad affrontare.
"Una bottiglia stappata, il rintocco della mezzanotte, luci nel cielo, un boato e poi... il buio" (cit. da “Il buio in padella”). Ci racconta come si è riaccesa la sua vita dopo l'incidente?
In modo tranquillo e sereno. Dopo il dolore c'è stata anche tanta serenità nell'equilibrio che sono riuscito a trovare in me stesso. Ho perso la vista improvvisamente a causa di uno scoppio di petardi e ho cercato per tanto tempo di togliere il buio davanti ai miei occhi, ma purtroppo non andava via.
Ingredienti di successo dello chef Antonio Ciotola. Come ha affrontato la sua emergenza?
Questa è proprio una vera emergenza perché rimboccarsi le maniche e riorganizzare la propria vita non è cosa da poco. Devo ringraziare mia moglie perché un giorno, camminando sotto casa con le bende agli occhi, attirato da un profumo di una crema di patate e porri, passando sotto un balcone, ho esclamato: "Che odore questa crema di patate e porri" e la signora affacciata al balcone, che mi conosceva, rispose: "Antonio è vero, è una crema di patate e porri". In quel momento mia moglie si è girata verso di me e mi ha proposto di riaprire il ristorante. Ho vissuto la mia emergenza perché inizialmente non sapevo dove mettere le mani però la fiducia mi ha dato la forza di superare le difficoltà. Sono rientrato nel mio locale un giovedì, dopo aver comprato delle verdure al mercato rionale, sono corso in cucina, ho aperto il cassetto dei coltelli, ho preso una zucchina, l'ho messa sul tagliere, ho iniziato a tagliare e ho visto che le mie mani lavoravano veloci. Mi sono accorto che non avevo perso la manualità e mi sono convinto che era il momento di ricominciare a lavorare. Un cuoco non vedente deve per forza toccare, le mani sono indispensabili, ma non solo il tatto, anche gli altri tre sensi: olfatto, udito e gusto. Utilizzo le stesse attrezzature di una volta senza averle cambiate di posizione. In cucina non devono mai mancare l'amore, la passione la fantasia per i miei piatti che devono essere un’esplosione di colori. Ogni mese vado con la mia memoria sui miei ricordi, su una foto, un evento in cui c'era il rosso del pomodoro, oppure porto la mia mente sul violaceo della melanzana, o il verde della zucchina, i colori vivaci delle spezie, così riesco a creare l'abbinamento e il contrasto anche dei colori, senza mai tralasciare il gusto che è importante, però il piatto deve essere impeccabile e colpire a livello visivo.
Ringrazio la protezione civile che ci ha dato la possibilità di poter collaborare con loro perché comunque noi siamo una costola della protezione civile. Dove ci sono delle emergenze c'è del buon cibo e noi col nostro impegno stiamo sempre in prima linea.
Ringraziamo lo chef Antonio Ciotola per la squisita disponibilità e collaborazione dimostrate.
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Foto: Rivista Orizzonte