Una delle poche indagini a disposizione è quella del governo degli Stati Uniti sulle vittime dell’uragano Katrina, abbattutosi nel 2005, che evidenziò come circa il 40% fossero persone disabili. Ora pensate alle parole di Mara Paola Domini, presidente dell’Ente Nazionale Sordi di Milano: «All’Expo, in molti padiglioni non ci sono degli strumenti accessibili (ad esempio avvisi visivi) che segnalino le emergenze alle persone sorde»
Qualche dato in più si può ricavare dal testo Fondamenti di prevenzione sugli incidenti domestici, pubblicato dalla Regione Toscana che, a pag. 101, propone un grafico che dimostra che anziani, bambini e disabili sono coinvolte nel 40% dei decessi che si verificano nelle abitazioni a seguito d’incendio (dati 2006). O il dato proposto dall’indagine Aism sul terremoto emiliano del 2012, da cui si evince il numero delle persone soccorse: 400 anziani nelle strutture protette, mille persone non autosufficienti, 3 mila assistiti a domicilio.
Abbiamo chiesto a Stefano Zanut, architetto, vice dirigente del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco presso il Comando provinciale di Pordenone, cosa prevede la legge: «La parola chiave è “piano di emergenza”, uno strumento predisposto proprio per fronteggiare eventi di questo tipo, con l’obiettivo di ridurne le conseguenze». È solo con il decreto legislativo 626/94, (poi evolutosi nel decreto legislativo 81/08), che il piano di emergenza diventa un elemento strategico nel contesto della sicurezza degli ambienti di vita e di lavoro. Nel decreto ministeriale 10/3/1998 per la prima volta viene posto in modo esplicito la necessità di considerare “l’assistenza alle persone disabili in caso di incendio. Qualora siano presenti lavoratori disabili, il piano di emergenza deve essere predisposto tenendo conto delle loro invalidità. Al riguardo occorre anche tenere presente le persone anziane, le donne in stato di gravidanza, le persone con arti fratturati ed i bambini”.
«Troppo spesso però anche le persone non sono preparate – prosegue Zanut (dispensa dei vigili del fuoco). A volte può bastare chiedere alla persona con disabilità interessata come si fa, anche perché sarà poi lei a essere coinvolta nell'azione della persona incaricata di aiutarla». Si parla quindi di cultura della sicurezza: «Nel soccorso s’impone una dialettica tra la persona da aiutare e soccorritore: il risultato si ottiene se entrambi sanno cosa fare. Allora sorge il tema di come le persone, tutte le persone e non solo i disabili – commenta Zanut – possono essere protagoniste della propria sicurezza».
Si apre quindi un fronte che dovrebbe veder coinvolte le persone, le loro famiglie e le loro associazioni. «Questo è un aspetto importante ancora sottovalutato – prosegue Zanut -. Certamente ci sono disabilità che concedono poca autonomia e per questo hanno bisogno di un particolare livello di assistenza, ma altre che invece possono dare il proprio contributo attivo in emergenza. Anche cinema, scuole, supermercati o altri ambienti devono prevedere un piano di emergenza che consideri le persone presenti e le loro necessità.
Quando poi la circostanza non risulta facilmente gestibile con le risorse a disposizione è necessario chiamare 115 e 118, quindi Vigili del Fuoco e Soccorso Sanitario. «Il soccorso tecnico lo svolgono i vigili del fuoco che sono anche formati sulle tecniche più idonee sia nell'assistenza alle persone con specifiche necessità, sia nell'utilizzo degli eventuali presidi ambientali presenti».
Ecco le nuove frontiere di sicurezza e soccorso che a Pordenone vedono coinvolti i vigili del fuoco: a settembre gli incontri con le persone con sindrome di Down della “Casa al sole”, per garantire loro autonomia con maggior sicurezza, mentre continua la collaborazione con la “Fondazione bambini e autismo” sui temi della relazione con le persone con autismo nei casi di emergenza iniziata con l’iniziativa “Ti aiuto a soccorrermi”.
Autore: Simone Fanti
Fonte: Corriere della Sera
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